Mourad Raho, 26 anni, si è dato fuoco lo scorso 10 febbraio a Benguerir, una città nel centro del Marocco. Riporta il sito rhamna.org che il giovane era stato licenziato dall'esercito lo scorso luglio. Raho è morto il giorno successivo in ospedale a causa delle ustioni riportate. Pare che dopo “l'esempio” di Mohamed Bouaziz, il giovane tunisino che si è immolato a Sidi Bouzid – cittadina a 300 km a sud di Tunisi e che ha dato vita alle proteste che hanno rovesciato il regime di Ben Ali – siano già quattro i tentativi di giovani che hanno cercato di darsi fuoco nel Regno del Marocco.
Quello che è certo è che le cose iniziano a muoversi in Marocco, almeno su Facebook. Alcuni media, come il caso de El Pais, per citare uno dei più importanti, hanno diffuso la notizia che un appello alla mobilitazione il prossimo 20 febbraio via un gruppo Facebook avesse già raccolto oltre 20mila adesioni.
La notizia, benché parzialmente incorretta, è vera. Esistono però due gruppi Facebook (entrambi in arabo): “Il Movimento del 20 febbraio, il popolo vuole il cambiamento”, che raccoglie ad oggi (venerdì 18 febbraio) 14576 membri e “Movimento di libertà e democrazia ora” che ne ha 9009. Quindi sì, oltre 20mila, ma solo ad oggi. Quello che è certo è che esistono invece decine (solo in francese) di gruppi che si dichiarano contro la manifestazione del 20 febbraio.
Il quotidiano francese La Croix aggiunge che una ventina di associazioni, tra cui l'Associazione marocchina dei diritti umani (AMDH), la Lega marocchina dei diritti umani, il Forum per le alternative del Marocco (FMAS) e Amnesty Marroco hanno manifestato il loro sostegno alla manifestazione del 20 febbraio. «Molti democratici marocchini, soprattutto i giovani, aspirano ad un dei cambiamenti in Marocco. Tranne qualche differenza la situazione marocchina non è troppo diversa da quella tunisina o egiziana: dittatura, Costituzione non democratica, elezioni che non rispettano la volontà popolare, Parlamento illegittimo, Governo senza potere esecutivo, strapotere del Re», ha detto Khadija Ryadi, presidente di AMDH. Ricordiamo che il Marocco è formalmente una monarchia costituzionale, retta da Mohammed VI: si tratta della più antica dinastia monarchica tutt'ora al potere.
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Il sito maghrebemergent.info riporta la reazione della politica marocchina: il Ministro della Comunicazione Khalid Naciri ha subito affermanto che il Paese «è impegnato in un processo di democrazia e di apertura degli spazi di libertà»; il Ministro della Gioventù e dello Sport, Moncef Belkhayat, dalla sua pagina Facebook ha chiamato i suoi sostenitori a mobilitarsi contro queste iniziative dei “nemici del Marocco”.
Alcuni media spagnoli, poi smentiti da fonti officiali marocchine, avevano parlato, nei giorni scorsi, di assemblamenti di truppe nel Sahara occidentale, pronti per interventi in caso di disordini.
Il quotidiano spagnolo El Pais si chiede se in Marocco sta per succedere quello che è successo in Tunisia e Egitto: «Anche la popolazione marocchina è “giovane” (le persone tra i 15 e i 29 anni rappresentano un terzo della popolazione) e il tasso di disoccupazione è ugualmente alto. In Marocco l'82% dei disoccupati sono giovani (il 56% in Tunisia e il 73% in Egitto). E, anche qui, tocca soprattutto i giovani laureati».
Mulay Hicham, principe e cugino di Mohammed VI, conosciuto per le sue posizioni critiche verso la monarchia, in un'intervista a El Pais del 31 gennaio scorso, dice che l'onda tunisina arriverà anche in Marocco: «Quasi tutti i sistemi autoritari saranno toccati dall'onda di proteste. Il Marocco non sarà un'eccezione. Bisogna vedere se la contestazione sarà solo sociale o se sarà anche politica e se le formazioni politiche, risvegliate dagli ultimi avvenimenti, si risveglieranno».
Ma la situazione sembra anche più complessa: Karim Boukhari, direttore della rivista Tel Quel, in passato critica verso la democrazia marocchina, così oggi commenta i recenti avvenimenti: «I tunisini e gli egiziani avevano questo in comune: hanno fatto, prima di tutto, una rivoluzione contor i loro presidenti. Il Marocco ha la fortuna di essere diverso: è un Paese che ha bisogno di una correzione, non di una ristrutturazione. Non è un Paese da rifare, ma da fare meglio».
Francesca Barca
Europa451