(articolo pubblicato il 5 novembre 2009)
Mentre il Governo francese è occupato, tra ottobre e novembre 2009, dai dibattiti sull’elezione di Jean Sarkozy alla testa dell’Epad (organismo pubblico francese), con le relative accuse di nepotismo rivolte al Presidente de la Republique, e quando si discute pure della presunta apologia della pedofilia del Ministro della cultura Frederic Mitterand, il Governo d’Oltralpe pensa bene di lanciarsi in un nuovo dibattito sull’identità nazionale. La discussione è stata aperta da Eric Besson, Ministro di immigrazione, integrazione, identità nazionale e solidarietà, lo scorso 2 novembre, e dovrebbe concludersi a fine gennaio per poi essere pubblicato su una sintesi che sarà resa pubblica a febbraio. Sicuramente un buon argomento in tempi di crisi, ma nulla di nuovo quando ancora il dibattito sulla costruzione europea è in fieri. Sicuramente uno dei temi preferiti in tempi difficili o pre elettorali, ci ricorda che la Francia si vuole sì universale, ma alle sue regole.
Quando il dibattito è stato lanciato, Eric Besson ha assicurato che i deputati (compresi quelli europei) avrebbero contribuito. Ma, almeno ascoltando quello che si dice, l’aspetto innovatore dell’Europa è lasciato completamente da parte, per concentrarsi soprattutto su discorsi un “vecchi”. Forse ancora nel 2009 l’identità francese sia considerata qualcosa di intoccabile?È dello stesso periodo la proposta di Nicolas Sarkozy di trasformare l’11 novembre (celebrazione dell’armistizio che ha messo fine alla Prima guerra Mondiale e che ce ricorda il sacrifcio dei soldati francesi) in giornata franco-tedesca. Questo ovviamente sapendo che l’identità francese è costruita in opposizione a quelle dei cugini tedeschi.
1992: l’anno della cittadinanza
E poi, le nostre frontiere sono cadute. Molto più velocemente di quanto non siano state costruite. Oggi ci basta una semplice carta d’identità per andare da Lisbona a Helsinki e i giovani si muovono, come studenti e come professionisti, grazie anche al multilinguismo di cui questa generazione si fa forte. In questo quadro i francesi non sono, come alcuni pensano, chiusi in sé stessi: sono tra i più numerosi a partecipare all’Erasmus, mentre il numero degli espatriati si conta a migliaia (300mila in Inghilterra, 200mila in Belgio, 160mila in Germania, 82mila in Spagna, 5mila in Polonia…). Tutte queste persone hanno sicuramente capito che se la loro nazionalità è francese, la loro cittadinanza è europea. E questo dal 1992 e dal Trattato di Maastricht che, nell’articolo 8 ci dice:
1. Si istituisce la cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’unione ogni cittadino che ha la nazionalità di uno Stato membro.
2. I cittadini dell’Ue godono dei diritti e sono sottoposti ai doveri previsti da questo Trattato.
È quindi qui che sta il nodo, in questo nuovo equilibrio tra cittadinanza e nazionalità: essere parte di uno Stato membro dà accesso alla cittadinanza europea. I detrattori dell’Europa vi diranno che si tratta di qualcosa di artificiale. Ma questo, detto da un francese, sarebbe quantomeno bizzarro, vista che la nostra identità nazionale è stata costruita sacrificando i particolarismi regionali.
Siamo tutti francesi?
Il Diciannovesimo secolo ha, appunto, permesso l’emergenza dello Stato Nazione, concetto grazie al quale la nazionalità e la cittadinanza sono fusi, segnando la fine di imperi come quello Austro-Ungarico o Ottomano. Dal 1945, invece, c’è un progressivo scollamento tra i due concetti. Prima di Trattato in Trattato, poi con la pratica e la vita quotidiana: la cittadinanza sta sfuggendo sempre di più ai nostri Stati e viene rimpiazzata dall’Europa. La Corte di Giustizia, il Parlamento Europeo, la Carta europea dei Diritti Fondamentali: tutti organismi che proteggono il cittadino, se il suo Stato nazione non rispetta i principi europei. Ed è proprio qui che possiamo scorgere la debolezza dello stato francese: molti, durante questo dibattito, sostengono che essere francesi significa essere attaccati ai valori democratici, ai Diritti dell’Uomo e alla libertà. Se questo fosse il caso l’Europa intera sarebbe francese. Questi sono i valori di un intero continente, e non di una nazione. Tenere discorsi di questo tipo era possibile quando una metà del continente viveva sotto il giogo comunista o quando i regimi fascisti erano più numerosi di quelli democratici. Nel 2009 non ha senso
La cosa qui difficile è che si tratta di una trasformazione verticale, che va verso la creazione di una nuova assemblea, più grande delle precedenti. Purtroppo le tendenze nazionali attuali vanno verso l’esatto opposto. Da qualche anno assistiamo già allo sviluppo di identità individuali orizzontali: sessuali, religiose, regionali… Nell’epoca della globalizzazione il ripiegarsi su sé stessi è un rifugio, mentre la scommessa sulla cittadinanza europea è un sfida. Questa sfida “rimpicciolisce” forse la definizione di “francese”, ma non ne prende certo il posto. Invece di ribadire le vecchie glorie e i vecchi sogni di un bel tempo che fu non sarebbe più interessante cercare delle risposte per il futuro? Per quelli che ne hanno fatto esperienza: è molto più facile sentirsi francesi vivendo all’estero, perché è li che la nostra identità, anche se in modo incosciente, è obbligata a confrontarsi con l’altro. Nel 2009 la Francia e i francesi non possono definirsi escludendo l’elemento europeo. Partendo da questo diventa più facile vedere l’appartenenza francese come la somma di certi “usi e costumi”, concetti “particolari” (come il rapporto con lo Stato), la forma sociale (in Francia si privilegia l’uguaglianza, mentre in Inghilterra la libertà) o una cultura. Sono questi gli elementi che creano l’identità. Perché il resto dipende dalla vostra cittadinanza. E, per i francesi, così come per i tedeschi, i polacchi, gli spagnoli o i bulgari, questa è europea. Ed è su questo che i francesi dovrebbero dibattere.
Jean-Sébastien Lefevbre
Europa451