I dati sono stati a lungo incerti. Ora pare che il numero delle vittime dello schianto aero del 10 aprile scorso sia certo: novantasei. Perdere un Presidente è sempre una situazione delicata per un paese: Lech Kaczynski non fa eccezione. La Polonia, vent'anni dalla sua transizione democratica, deve oggi dimostrare la solidità e la stabilità delle sue istituzioni democratiche di fronte a questa tragedia.
Kaczynski: la Polonia “prima della guerra”
La portata della tragedia urla per la lista delle altre vittime: i più grandi nomi dell'esercito, della finanza, della politica e i leader religiosi. Simbolicamente il tutto è accaduto a poche decine di chilometri da Katyn, dove nel 1940 migliaia di ufficiali polacchi furono uccisi dalla Nkvd (polizia politica sovietica). Come se l'élite polacca fosse condannata a essere annientata. Oggi, molti commentatori, polacchi e no, parlano, per questo, di “nuova Katyn”. Ma questo confronto è facile, populista e senza significato. È solo una risposta emotiva che non rispecchia la situazione reale della Polonia.
Quando nel 1940 i sovietici uccisero i 22mila ufficiali polacchi lo fecero con un obiettivo: mettere in ginocchio una nazione che si era ricostituita dopo 123 anni di divisioni (1795 e il 1918 la Polonia non è mai stata unita e indipendente, fino al 1939, quando poi è stata annientata dal patto nazi-sovietico). Ci sono voluti quarant'anni e Solidarnosc per ottenere l'indipendenza e far rinascere un'élite politica. La differenza è che, seppure anche oggi la perdita sia grande, qui, chi la subisce è la Polonia. Il Paese del 2010 non ha nulla a che fare con quello del 1940. La sua classe dirigente è molto di più di quelle 96 persone morte il 10 aprile scorso.
Questa tragedia è anche un'occasione, per i polacchi, per fare il punto della situazione rispetto ai progressi compiuti dal 1945 al 1989 e, di conseguenza, adeguare il loro sistema di pensiero, il loro modo di vedere l'Europa e il mondo. In che senso? Lech Kaczynski rappresentava la Polonia del “prima 1939”: cattolica, nazionalista, conservatrice, contro i diritti agli omosessuali, anti-russa e anti-tedesca, ma diffidente rispetto all'Europa dell'Ovest. Il pensiero dell'ex Presidente polacco era ancora radicata nel Ventesimo secolo. Chi non ricordare che nel 2007, durante i negoziati sul trattato di Lisbona – in accordo con il fratello e Primo Ministro – chiese più seggi per il suo Paese in Europa, a detrimento della Germania, come risarcimento per la Seconda Guerra Mondiale? Secondo i suoi calcoli, senza la guerra, la Polonia avrebbe avuto 66 milioni di cittadini invece che 40. Patetico e puramente elettorale.
Il riconoscimento di Katyn da parte delle autorità di Mosca è stato un primo passo nel lungo processo di riconciliazione tra la Polonia e la Russia. Con una risposta rapida, chiara ed inequivocabile, il Presidente Medvedev ha fatto di lunedì 12 aprile una giornata di lutto nazionale. Una prova di sincerità. E anche per questo andrebbero lasciate perdere le fantasie su una possibile implicazione russa nell'incidente aereo. Anche se la cosa pare difficilmente immaginabile, una frazione del partito di Kaczynski, Diritto e Giustizia (PiS), non aspetta altro che aprire la discussione. In parallelo, non dobbiamo dimenticare l'altro vicino, la Germania, che il Presidente Kaczynski accusava di avere disegni egemonici in Europa.
Molte sfide aspettano la Polonia: omosessualità, immigrazione, ruolo della religione, l'aborto... tutti dibattiti che ora non hanno quasi il diritto di essere nominati in pubblico in nome di regole risalenti a un'altra epoca e a un'altra società. Questa è la sfida che attende la Polonia, non appena passato il lutto. La modernizzazione non è morta il 10 aprile 2010: finirla con il peso di coloro che hanno fatto Solidarnosc, per lasciare spazio a persone come il Primo Ministro Donald Tusk, e questo, qualunque sia il partito.
Jean-Sebastien Lefebvre
Europa451