La notizia si sta diffondendo velocemente: il numero di giornalisti a Bruxelles sta diminuendo vorticosamente. Da 1300 a 752 tra il 2005 e il 2010. Avere un corrispondente a Bruxelles? Che idea assurda! Le cifre arrivano dalla Commissione europea: nel 2005 i giornalisti accreditati presso l'Ue erano 1300, cinque anni più tardi sono 752. La cosa è ancora più triste se si pensa che con il Trattato di Lisbona l'Unione europea non ha mai avuto tanti poteri, e soprattutto il suo Parlamento.
Una normalizzazione centro-europea
Pare quindi che i media disertino Bruxelles. Ma vediamo nel dettaglio che succede: riprendendo le cifre del 2004 possiamo contare 131 tedeschi, 56 francesi, 97 britannici, 64 spagnoli e 65 italiani. Nel 2010 siamo invece messi così: 132 tedeschi, 56 francesi, 98 inglesi, 63 spagnoli e 63 italiani. Tutto stabile quindi: da dove arriva il crollo allora? Dai “nuovi” Paesi e da quelli extra Ue. Le cifre del 2005 sono quindi da contestualizzare nel post-allargamento verso Est. Si tratta quindi di una normalizzazione della situazione. L'euroforia e l'eurofilia dell'epoca ha spinto numerosi paesi e, di conseguenza, le loro redazioni, a mandare giornalisti a Bruxelles. Cinque anni dopo, il tutto si è sgonfiato, e molti giornalisti sono tornati a casa. Perché? Perché anche la stampa di questi Paesi si comporta ora come quella dei vecchi Stati membri: “Bruxelles? Ah, sì, è vero...”.
Effetto perverso
In ogni caso questa notizia non è di buon augurio: dimostra che, al di là delle motivazioni dei giornali, l'informazione europea viene messa da parte. Le ragioni sono tante: i problemi finanziari che stanno affrontando i giornali sono sicuramente importanti, ma esiste, non di meno, una tendenza che porta sempre di più ad interessarsi al locale, lasciando di lato il globale; a puntare sull'emozionale, piuttosto che sull'istituzionale. E visto che le notizie in provenienza da Bruxelles sono poco locali e poco emozionali... A cosa serve avere un giornalista a Bruxelles? Le istituzioni europee con la loro strategia di comunicazione del “tutto in Internet” e del “comunicato stampa perfetto” sono in gran parte responsabile di questo problema. Se questi strumenti sono stati lanciati per fare in modo che i giornali parlino dell'Ue, hanno invece prodotto l'effetto opposto: hanno favorito lo sviluppo del desk-journalism. Il giornalista specializzato negli affari europei può lavorare seduto alla sua scrivania. E questo lasciando di lato l'importanza del lavoro sul campo, delle relazioni umane e dei contatti. Così, malgrado tutti gli sforzi dell'Ue, l'informazione europea non arriva che al 3% delle notizie dello spazio mediatico di ogni paese, considerando che l'internazionale si aggira intorno al 20%, e la politica interna va, invece, dal 60 al 75%. Una sconfitta.
Troppo consenso, poca notizia
Ultima osservazione: il famoso leitmotiv “L'Ue è noiosa”. Questa cosa non può certo essere smentita scientificamente. Esistono però dei sondaggi che dicono che i cittadini sarebbero interessati a capire meglio cosa succede in Europa... a questo va aggiunto che l'atmosfera che regna a Bruxelles non aiuta certo i giornalisti a produrre contenuti “pepati”. Il famoso “consenso europeo” non lascia troppo spazio ai dibattiti e alle discussioni a cui appassionarsi. Gli ultimi esempi? La rielezione di Barroso e le nomine di Van Rompuy e Ashton. Solamente le grandi gesta del Parlamento fanno rumore, come è successo con la società Swift, la settimana di 65 ore e il download da Internet. Ma la sua importanza simbolica è ancora troppo debole e il consenso sinistra-destra troppo forte. Al momento dello scandalo che ha travolto la bulgara Jeleva, anche se articoli sono stati pubblicati (tra cui il primo a Europa451), si trovavano in fondo alle pagine, perché in primo piano c'era il terremoto di Haiti. Un affare del genere a livello nazionale non avrebbe subito la stessa sorte.
Ma senza un vero dibattito che fare? Cosa scrivere? A Bruxelles niente di nuovo.
Jean-Sébastien Lefebvre
Europa451